Ho intervistato Laura Boldrini nel gennaio del 2010, ben prima della sua nomina a Presidente della Camera. La sua attenzione per ciascuna parola mi colpì, come la sua dedizione: dopo che le mandai il testo dell’intervista, volle che ci sentissimo su Skype, per la rilettura.
“Quando sarebbe disponibile?”, le domandai. “Domenica”, rispose. E la domenica successiva, puntuale, si fece trovare. L’intervista uscì su Il Sole 24 Ore, nel canale dedicato al lavoro Job24.it, che ora non esiste più, ma si può rileggere qui.

 

PARTE I

Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite: “il lavoro è qualcosa che mi alimenta”.

 

Nome: Laura

Cognome: Boldrini

Nata il: 28/04/1961

Città: Macerata

Residente a: Roma

Titolo di studio: Laurea in Giurisprudenza alla Sapienza, voto: 110

Anno: 1985

Tesi: Sul diritto di cronaca.

Dal 1983 al 1986, mentre studiavo, ho lavorato di sera all’AISE (Agenzia Italiana Stampa e Migrazione). Mi occupavo di selezionare le notizie che potevano essere rilevanti per i giornali delle comunità italiane all’estero.

 

Il primo lavoro

Nel 1981, subito dopo il liceo andai a lavorare in Venezuela in un’azienda di riso e poi feci un viaggio in tutta l’America centrale.

Come arrivò alla fabbrica di riso? Di cosa si occupava?

Un amico di famiglia, agronomo, era andato a curare quest’azienda dove c’erano anche investimenti italiani. Io mi feci avanti perché mi piaceva l’idea di fare un’esperienza all’estero. Aiutavo un po’ nell’organizzazione della segreteria; avevo finito il liceo classico, quindi non avevo grandi competenze.

Appena potevo mi piaceva molto andare a vedere le grandi coltivazioni di riso dove i campesinos lavoravano tutto il giorno, senza tutele, dormendo sul posto dentro alle baracche. Rimasi molto colpita da questo stile di vita ripetitivo e privo di orizzonti.

Il primo stipendio

E chi se lo ricorda più. C’erano ancora le lire.

Lingue straniere conosciute

L’inglese, che è la lingua con cui lavoro. Il francese e lo spagnolo non le conosco bene come l’inglese.

Come le ha imparate?

La prima volta ho acquisito lo spagnolo con l’esperienza diretta in America centrale, mi piaceva molto come lingua e quindi al ritorno presi delle lezioni. Il francese l’ho imparato un po’ ai tempi dell’università perché coabitavo con una ragazza francese, e poi ho frequentato la scuola Alliance Francaise a Roma. Anche quando lavoravo alla Fao prendevo lezioni. L’inglese l’ho imparato viaggiando e approfondito con lo studio.

Altre esperienze di lavoro in quegli anni

Col viaggio in America centrale era nata una passione. Per me, cresciuta in provincia, si erano aperti nuovi orizzonti e durante l’università cercavo di viaggiare il più possibile: Sud Est asiatico, India. Dopo l’università ho iniziato a lavorare in Rai, per la tv e per la radio.

In cosa consiste il suo lavoro all’Unhcr?

Consiste nel rendere note tutte le questioni relative ai rifugiati e al diritto d’asilo, in merito alla materia dei rifugiati in Italia e nel Mediterraneo. Il mio compito è di informare la stampa attraverso comunicati, aggiornamenti, e di sensibilizzare l’opinione pubblica con campagne pubblicitarie, dibattiti, incontri.

Da quando lavora per l’Unhcr, come ci è arrivata?

Sono entrata all’ Onu nel 1989, facendo un concorso per Junior Professional Officer, una selezione di giovani laureati che vogliono lavorare negli organismi internazionali. Ho lavorato cinque anni alla Fao, poi il capo ufficio stampa del Pam, il Programma Alimentare Mondiale, mi chiamò per chiedermi se conoscevo qualcuno che curasse i rapporti con la stampa italiana e io mi proposi. Stavo aspettando mia figlia, mi ricordo che mi presentai al colloquio con la pancia. Infine sono arrivata all’Alto Commissariato perché la signora che occupava la mia posizione andava in pensione e partecipai alla selezione. Ora sono qui dal febbraio del 1998.

Che tipo di contratto ha?

Ho un contratto a tempo indeterminato da funzionario Onu. I funzionari Onu sono soggetti alla rotazione, come il corpo diplomatico, ma per la mia posizione è diverso perché richiede competenze specifiche che non sono necessariamente intercambiabili con quelle degli altri colleghi, dunque è definita “expert” e non prevede rotazione. Posso ruotare, chiedendolo, ma posso anche chiedere che mi venga rinnovata.

Quali competenze e quale tipo di formazione occorre avere per ricoprire una carica come la sua?

Innanzitutto conoscere bene le lingue, che sono il tallone di Achille di tanti bravi professionisti italiani; conoscere i meccanismi dell’informazione da dentro, quindi aver lavorato in un’agenzia di stampa, alla radio, in tv, per sapere come presentare le informazioni ai media affinchè vengano colte e ritenute interessanti. Ci vuole una motivazione forte, credere che si può dare un contributo anche se non si può rivoluzionare il mondo. E poi ci vuole la capacità empatica di parlare per nome e conto di chi non può, bisogna essere portavoce dei beneficiari.

Sulla carta di identità alla voce professione c’è scritto

Funzionario ONU

Una cosa che le riesce bene, al di là del lavoro.

Faccio fatica a distinguere fra lavoro e non lavoro, perché quando c’è la passione di mezzo non si possono mettere i paletti o guardare l’orologio. Mi piace andare a fare dei viaggi, anche a prescindere dal lavoro, con mia figlia che ha sedici anni e vedere le sue reazioni davanti a nuove realtà. Fare con lei questo percorso di conoscenza e dedicarmi a lei mi riempie di soddisfazione.

La parola “lavoro” cosa le fa venire in mente?

Non vorrei sembrare un’invasata, ma il lavoro è una cosa che non mi annoia mai, che mi alimenta.

 

PARTE II

“Mi è capitato di trovarmi in situazioni di pericolo, a volte non ci si accorge neppure di esserlo”.

 

La parte che le piace di più del suo lavoro, e quella di cui farebbe a meno.

Farei a meno della parte più burocratica, quella dove bisogna sottostare a tutti i passaggi che esistono in un grande organismo con migliaia di dipendenti e una struttura verticistica. Mi piace la parte fuori, sul terreno, quando è necessario stare lì perché può fare la differenza.

Lei coordina una squadra?

La mia squadra è molto piccola. A Roma siamo in quattro nell’ufficio stampa, poi abbiamo altri colleghi sparsi in vari paesi: uno a Malta, tre in Grecia, uno a Cipro.

Per coordinarvi mandate più email, sms o fate più telefonate?

Intanto cerchiamo di mantenere sempre un contatto diretto, di vederci ogni tot mesi, perché è questo che conta. Dobbiamo avere una uniformità sulle varie posizioni: sulla detenzione dei rifugiati, sui respingimenti, sulle tematiche di nostra competenza. E per far questo usiamo molto l’email e gli sms. Il telefono quando c’è una cosa da verificare immediatamente.

Perché i rifugiati in Italia sono 47 mila, in Germania 600 mila, in Gran Bretagna 300 mila, in Francia 150 mila?

Perché tradizionalmente l’Italia è stato una paese di transito per i rifugiati, che prevalentemente erano diretti verso paesi dove o avevano legami di comunità già presenti o nei quali c’era un sistema di welfare per i rifugiati più sviluppato di quello italiano.

E’ cambiato qualcosa negli ultimi tempi?

Negli ultimi anni l’Italia è diventata un paese anche di destinazione con il regolamento europeo di Dublino II. Per evitare che una persona faccia ventisette volte domanda di asilo, tanti quanti sono gli stati membri dell’Unione Europea, e per impedire che gli stati dicano “non è mia competenza”, questo regolamento ha stabilito che uno dei criteri è il paese in cui si entra. Quindi, se si entra in Italia, non si può fare domanda di asilo in Svezia o in Inghilterra.

Come giudica i respingimenti da un punto di vista della giurisprudenza?

Il respingimento di rifugiati e richiedenti asilo è una misura assolutamente iniqua poichè contraria al diritto italiano e al diritto internazionale. Rimandare indietro le persone senza sapere chi è a bordo dell’imbarcazione, significa correre il rischio che vi siano anche dei richiedenti asilo, ovvero persone che – in base all’articolo 33 della Convezione di Ginevra del 1951 – non possono essere rimandate indietro. E questo vuol dire entrare in rotta con il principio del non respingimento, che è l’unico riconosciuto a livello internazionale.

Quindi i respingimenti sono contrari al diritto?

La figura del respingimento è prevista dall’ordinamento italiano ma con delle garanzie. Cioè che comunque la persona respinta deve essere identificata, le deve essere dato fisicamente un decreto di respingimento, a fronte del quale può anche fare ricorso. Il Testo unico dell’immigrazione dice che i richiedenti asilo non sono soggetti all’istituto del respingimento perché su di loro si applica la normativa dei rifugiati. I dati del 2008 dimostravano che il 75% di chi arrivava via mare aveva fatto una domanda di asilo, e il 50% di quelle persone, dopo essere state audite dalle commissioni territoriali preposte, ha ottenuto una forma di protezione. E le commissioni sono formate da rappresentati dello stato: il Prefetto, un funzionario di polizia, un funzionario dell’Anci e uno dell’Alto Commissariato.

In vari stadi italiani si sentono cori razzisti contro Mario Balotelli, giocatore italiano di colore definito “negro”. Vittorio Feltri sul Giornale, parlando della vicenda di Rosarno, ha titolato: “Ma questa volta… hanno ragione i negri”. Come si esce da queste situazioni e da questo linguaggio?

Io penso che tutto questo sia qualcosa che dovrebbe veramente preoccupare tutti. Dieci anni fa una cosa del genere non sarebbe mai stata possibile. Oggi è possibile e anche a mezzo stampa. Ogni domenica ci sono questi cori e mi pare che non si stia facendo niente. Ci vorrebbe una posizione netta e chiara, mancano i provvedimenti. E’ come se tutto questo venisse tollerato. Noi abbiamo dato un contributo aderendo alla campagna contro il razzismo che, per la prima volta, ha messo insieme 27 organizzazioni completamente diverse, ma unite nello sforzo di dare un segnale.

A quale campagna si riferisce?

Alla campagna “Non aver paura. Apriti agli altri apri ai diritti”. Abbiamo fatto anche uno spot televisivo con Francesca Reggiani e Lello Arena per dimostrare che il razzismo si basa sul pregiudizio. Per quanto riguarda la stampa, noi come Unhcr abbiamo promosso la Carta di Roma, un protocollo deontologico che adesso fa parte dei corsi di formazione per giornalisti. Abbiamo così voluto mettere a disposizione dei giornalisti delle linee guida su come fare informazione senza alimentare pregiudizi e odio.

La Carta di Roma di che anno è?

E’ stata firmata sia dal Consiglio nazionale dell’ordine, sia dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana nel 2008, dunque da quest’anno è materia d’esame.

L’ultimo viaggio che ha fatto per lavoro?

Sono stata a Rosarno, e negli stessi giorni sono stata a Riace e Caulonia, a 60 chilometri da Rosarno, dove c’è l’altra faccia della Calabria. A Riace e Caulonia sono arrivati 178 palestinesi che abitavano nella terra di nessuno tra la Syria e l’Iraq, quindi iracheno-palestinesi, e l’Italia, sollecitata da noi, ha aderito ad un programma di reinsediamento di questi rifugiati. Reinsediamento significa prendere delle quote di rifugiati che sono già in un paese dove però non possono essere integrati, e portarli legalmente in un altro paese. Paesi come Stati Uniti, Canada, Finlandia, Norvegia, Germania, prendono parte da anni a questi programmi, mentre per l’Italia si tratta di un progetto pilota. E speriamo che sia l’inizio dell’adesione.

Le è capitato di trovarsi in situazioni di pericolo?

Sì, in alcuni frangenti è capitato, e a volte neppure ci si accorge di essere in pericolo. Sicuramente in Kosovo nel 1998 poteva succedere il peggio: stavamo portando un convoglio in una zona controllata dall’Uck. Le milizie dell’Uck ci bloccarono e ci tennero sotto l’acqua con le mani alzate per un paio d’ore. E non fu una cosa molto piacevole per me e gli altri due colleghi.

Quando è in viaggio, le piace scattare fotografie, ascoltare musica?

Sì, mi piace fare fotografie e parlare con le persone. Questa è la cosa che mi piace di più, per stabilire un rapporto diretto con le persone. La musica non la ascolto perché altrimenti mi estraneo e non parlo con le persone.

Dove ama passare le vacanze?

Mi piace andare nelle Marche, dove ci sono ancora i miei genitori, i miei ex compagni di liceo con i quali ho mantenuto un legame.

Che ne pensa del Nobel per la Pace ad Obama?

Mah, nell’ottica dell’incoraggiamento ci sta tutto. Credo che abbiano pensato di responsabilizzarlo, di fare in modo che la sua azione sia mirata alla pace. E’ vero però che ci sono tante persone che praticano ogni giorno il rispetto dei diritti e della pace senza visibilità.